7 Agosto 2017 -

NAZIDANIE (2017)
di Boris Yukhananov e Aleksandr Shein

L’idea di partenza è relativamente semplice, ed è legata essenzialmente alla nascita ed alla presenza di un’icona. Nella molteplicità degli schermi (degli specchi e degli sguardi) d’oggi, è proprio l’immagine ad avere questo incarico annoso quanto spaventoso. È proprio di pochi giorni fa il passaggio di Neymar dal Barcellona al PSG, per una cifra che arriva, e anzi supererà nei prossimi anni, il mezzo miliardo di euro. Ecco che una notizia apparentemente sportiva diventa economica, politica e soprattutto mediatica. Tutto ciò che appartiene (o è veicolato) dalla stessa immagine, ne diventa immediatamente schiavo e succube, e così direttamente creatore di altre per un circolo infinito e spesso deleterio. Nazidanie, presentato Fuori Concorso a Locarno 70, analizza un atto estremamente determinato di questa catena, un frammento che poteva essere casuale come moltissimi altri (in una partita di pallone come in qualsiasi altro contesto) e invece si è ritrovato come genesi di un immaginario assolutamente unico ed estremamente complesso. Al minuto centonove della finale di Coppa del Mondo del duemilasei (Olympiastadion, Berlino), Zinedine Zidane sferra una testata a Marco Materazzi dopo essere stato lungamente provocato. Un gesto di rara potenza evocativa che, ovviamente, cambierà l’esito della partita come quello della storia dell’ultimo decennio. L’ultimo lavoro di Boris Yukhananov (già autore dello splendido e mastodontico Crazy Prince), coadiuvato questa volta da Aleksandr Shein, gira attorno a questo (f)atto, ripercorrendo gli ultimi anni della carriera del maestro franco-algerino del pallone e sviluppando una particolarissima visione della mitologia contemporanea.

Nazidanie è un’opera (dalla bassissima risoluzione video, legata soprattutto alla ricerca di materiale sul web) che si impegna subito per porsi nello scivolosissimo confine tra il footage e la videoarte, ricercando nella tecnica del collage lo strumento linguistico principale della costruzione narrativa. Si parte proprio dal primo addio alla nazionale di Zizou, dopo gli Europei del 2004, quando in Francia è lutto nazionale; la notizia dell’abbandono del capitano scavalca qualsiasi news di tutti i tg (le catastrofi climatiche, la tensione mediorientale, le sciagure aeree) e porta la stessa squadra a un senso di smarrimento totale. Ma ancora più clamoroso sarà il ritorno di Zidane, circa un anno dopo, durante le partite di qualificazione per il mondiale tedesco e con un Equipe in seria difficoltà. Una scelta quantomai contrastata ed inspiegabile, che lo stesso calciatore su France Football spiegherà come mossa da qualcosa di soprannaturale. Dirà poi che fu uno dei suoi fratelli, tra il sogno e la realtà, a convincerlo a riprendere gli scarpini, anche se il mistero rimane fittissimo. La Francia ci andrà a quel mondiale e, nonostante un girone eliminatorio molto problematico, arriverà in finale. Il controcanto è l’Italia, appunto, con nel mirino soprattutto De Rossi e naturalmente Materazzi. Da una parte “Capitan Futuro”, dall’altra “Il Macellaio di Lecce”, uniti da un destino di picchiatori professionisti come di teste calde, uniti (anche con altri carneadi come Fabio Grosso) nel portare gli azzurri e Berlino. Tutta questa costruzione apparentemente sgangherata, ma allo stesso tempo approfondita e particolareggiata anche con elementi di animazione oltre ovviamente alle videocronache d’epoca, appare quasi come una preparazione alla finale, a quel gesto che ha fatto la Storia. Il calcio diventa metafora del destino, delle emozioni, del mondo, in un ininterrotto monologo epico che in due ore e mezza parte e torna costantemente alla stessa testata passando direttamente da Dio. Sono forze mistiche e divine, lati chiari e lati scuri, angeli che entrano a gamba tesa e diavoli che sfornano assist: Marco Materazzi e Zinedine Zidane, incroci di destini che passano dall’Olympiastadion di Berlino.

“Quando stavo guardando quella partita, seguita da 2,5 miliardi di persone in tutto il mondo, a un certo punto ho iniziato a leggerla, invece di soltanto osservarla. Un testo miracoloso e brillante si è subito svelato davanti a me. Ho sperimentato una sensazione mistica legata all’incredibile bellezza di eventi inaspettati: lo sviluppo del gioco stesso e gli sconvolgimenti che ne seguirono. Insomma, un’illuminazione. […] Mi ricordo di un incontro amichevole in tarda notte; non ho potuto resistere e ho cominciato a rivedere gli avvenimenti di quella partita come una storia straordinaria, e ho visto la conferma di una grande possibilità di progetto, una sorta di grande romanzo televisivo”. Questo è un commento dello stesso Yukhananov durante la (re)visione del match. La Francia arriva in finale dopo un’inaspettata vittoria contro il Brasile ai quarti (con uno Zidane a dir poco sontuoso), e l’Italia dopo aver battuto la solita Germania ai supplementari. La narrazione della finale prosegue in modo pressoché lineare, fino alla testata. In un attimo, quel frammento di cronaca sportiva diventa una delle immagini più significative del nostro secolo, e nel film viene espansa, cambia angolature e prospettive, vive nella sua infinita e molteplice riproducibilità. Poco importano i motivi del fattaccio, e poco importa (almeno a livello di immaginario mediatico collettivo) chi quella partita la vinse per davvero, perché quasi alle ventitre di quel nove luglio duemilasei, il mondo si è fermato – su un replay, perché l’atto, in diretta, rimase fuori campo. La lotta tra Zidane e Materazzi assume l’epicità di una tragedia greca come di un duello animale (minotauri e angeli, vichinghi e tori inferociti), il rapporto con il calcio diventa qualcosa che trascende la percezione di uno sport/gioco per giungere a una dimensione mistica e trascendentale, l’immagine di quell’attimo creerà simulacri talmente ampi che addirittura la zolla in cui si è consumata la battaglia verrà bruciata. Ciò che resta di questa digressione umoristica e allucinata è un viaggio nel nostro quotidiano (le telecronache d’epoca, le interviste ai giocatori, il frequente ricorso ai quotidiani) che attraverso un gruppo di esperti in vari ambiti (dagli storici ai filosofi, dai massmediologi ai giornalisti) cerca di studiare la genesi di un fenomeno che ha colpito miliardi di spettatori, analizzandone però anche la percezione del singolo, di colui che si trova spesso davanti a miracoli (sportivi?) dal significato nascosto. Allo stesso tempo, però, Nazidanie indaga anche l’intersecarsi di questa onda incontrollata di pareri e opinioni rispetto alla altre notizie del mondo, insomma a tutto ciò che quotidianamente consumiamo via etere e su rete. Zidane non si pente, Materazzi festeggia, il destino abbraccia tutti, perché le cose, se devono succedere, prima o poi succedono. “Nazidanie” in russo significa lezione, sermone, ammonimento, edificazione. Forse le uniche parole possibili per definire un film difficilmente descrivibile come pochi, ma altrettanto giocoso e profondo.

Erik Negro

P.s. Anche io ricordo quella finale, avevo quindici anni e mezzo, ero a casa con la febbre mentre mio padre andò in strada a festeggiare. Ricordo ancor meglio, però, che il mio cuore stava dalla parte di Zizou, perché spesso la bellezza di un’infinità di gesti non può essere vanificato dalla sciocchezza di uno sbandamento. L’ennesima opinione personalissima fra centinaia di milioni, inutile come tutte, dopo che la Storia è stata fatta, e che con lei scorrono le immagini dei suoi protagonisti.

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