17 Febbraio 2017 -

ANA MON AMOUR (2017)
di Cãlin Peter Netzer

Le vie dell’amore, così come quelle della mente, sono infinite. Sono percorsi vorticosi, a volte impossibili da comprendere e da controllare, sono parabole destinate a crescere, maturare, cambiare profondamente chi le vive, ma nessuno può essere sicuro che una stabilità possa durare per sempre: la fiaba, a volte, si esaurisce, e quello che resta fra le dita sono solo i ricordi da rielaborare, i piccoli e grandi rancori, i rimpianti e le sedute psicanalitiche, quelle di lu,i che giungono come una sorta di staffetta dopo quelle di lei, quell’amore che non c’è più, passata nel frattempo dalla profondità della sua più cupa disperazione all’indipendenza e al successo professionale. Il cineasta rumeno Cãlin Peter Netzer, dopo la vittoria dell’Orso d’Oro 2013 con Il caso Kerenes, torna a Berlino a chiudere il Concorso edizione 2017 con Ana, mon amour, percorso a ritroso nell’amore della propria vita nel quale, a tenere le fila della narrazione all’interno di una complessa scatola di flashback in cui si dipana una narrazione ellittica e rigorosamente non lineare, pronta a seguire il flusso dei ricordi e non la scansione del tempo, sono i ripetuti incontri con lo psicologo del protagonista Toma, che per Ana ha fatto e dato tutto quel che aveva, l’ha amata e curata, ha tagliato per lei i ponti con la famiglia, l’ha portata dai migliori specialisti per sanare i suoi ripetuti e gravi attacchi di panico dovuti a un disagio mentale e a un passato familiare ambiguo, le è stato vicino nei momenti di dipendenza dagli psicofarmaci e quando era talmente fragile da non potere più uscire di casa da sola, e con lei ha concepito e cresciuto un figlio. Eppure una sera, sul divano di casa, fra difficoltà economiche e gelosie, ma forse soprattutto proprio per l’autonomia così faticosamente ottenuta da parte di Ana nel corso di tanti anni e sacrifici insieme, si sono ritrovati a rinfacciarsi l’amore profuso e il denaro speso, i sacrifici e i passi compiuti insieme, rendendosi conto di volere il divorzio, di non amarsi più, di essere arrivati a pensare persino che il loro forse non sia mai stato in realtà vero amore, ma un misto di sindrome del crocerossino e di volontà di controllo passata ora da lui a lei.

Melodramma necessariamente sfilacciato come gli imprevedibili interstizi della mente, Ana, mon amour è un film che studia da vicino le dinamiche dei rapporti di coppia e la psicanalisi, ma soprattutto è un film sulla debolezza umana, quella di Ana e dei suoi attacchi di panico giovanili, da calmare con dolci carezze sulla pancia e lunghi periodi per disintossicarla dal Tavor con cui ha cercato per troppi anni di tenerli sotto controllo, e quella di Toma, che dopo essersi mostrato più forte di quanto non fosse nel momento del bisogno e del massimo innamoramento, si lascerà inevitabilmente andare, e sarà lui, con ormai pochi capelli e nessun residuo entusiasmo, sull’orlo del crollo nervoso, a doversi recarsi dallo psicologo per ritornare sulla sua vita, sulle sue decisioni, sulle sue emozioni, su Ana, mon amour. Ana e Toma si sono conosciuti giovani, ai tempi dell’università, e Toma ha ben presto scoperto gli “episodi” di cui soffriva della sua amata, innamorandosi non solo di lei, ma anche del suo bisogno d’aiuto e delle sue estreme stratificazioni, ora dolce e ora incapace di respirare, ora provocante e ora chiusa, ora carne e ora lacrime. Netzer filma un amore che nasce e che cresce germogliando sul completo supporto, sul conoscere a vicenda il passato di ex e di vicessitudini familiari più o meno complicate, sui baci e sulle carezze, ma anche sull’unione dei corpi, perché l’amore è anche farlo, la tenerezza è anche lussuria, sudore, fluidi, gemiti, simbiosi, passione, orgasmi. Specialmente quando, qualche anno dopo, quegli stessi corpi nudi saranno solo freddi pezzi di carne, abitudine, indifferenza, e non più desiderio. Toma supporta Ana in ogni modo, la porta dai migliori specialisti, rinuncia a qualsiasi tipo di vita sociale per stare con lei nei lunghi anni in cui nemmeno riesce a uscire di casa, le salva la vita e l’onore quando, rimasta sola durante un attacco di panico acutissimo, rischia l’overdose di farmaci e finisce per perdere il controllo dell’intestino. E Ana, nel frattempo, ricambia l’amore, gli dona un figlio, matura, cresce, guarisce, acquisisce la sua indipendenza e fa carriera, mentre lui lascia persino il lavoro da giornalista e si ritrova in casa ormai quasi come un peso. Fra i due c’è un rapporto di reciproca dipendenza, destinato a passare dalle varie situazioni della vita e a consolidarsi, poi a sopravvivere, e infine a macerare e farli macerare dall’interno, distruggendo tutto ciò che di bello e duraturo aveva creato con la stessa forza con cui lo aveva costruito.

Quello che Netzer mette in scena è un rapporto di coppia dalla sua epifania al suo tramonto, un rapporto strettamente correlato ai problemi della mente e alla psicanalisi, un rapporto fra anime fragili che trovano la propria via solo dall’unione, ma che poi non potranno fare altro che vedere il proprio rapporto sfilacciarsi. Nella curva parabolica del rapporto fra Toma e Ana, e nel loro sostanziale isolamento fino a che il passato e il mondo reale non rientreranno dalla finestra rimettendo tutto in discussione, c’è la disillusione della Romania contemporanea, ci sono i compartimenti stagni della società, ci sono le repressioni e le crisi, ci sono gli strascichi psicologici e i fallimenti. C’è la favola di un matrimonio che, compiuta la sua traiettoria, finisce per virare nell’ennesima tragedia di solitudine, dall’ironia sorniona ai limiti della pantomima quando Toma verrà costretto a dormire con con Ana ma con il suo patrigno, ai silenzi assordanti di quando i corpi smettono di cercarsi, e nemmeno il figlio che dorme nella stanza di fianco potrà fermare i litigi, i sospetti, l’indifferenza. Forte di una messa in scena curata nella sua fotografia in 35mm e straordinariamente efficace nel riportare sullo schermo tutte le tensioni nervose del rapporto di coppia in una regia di dettagli e di continui spostamenti a schiaffo, di vertiginosi scavalcamenti di campo e di giochi con il fuoco, di montaggi serrati e perfettamente calibrati, Ana, mon amour non è però sempre ugualmente fruttuoso nella struttura a flashback che lo costituisce, ottimamente orchestrato nelle ellissi temporali in cui sono solo i look dei protagonisti a indicare il passare del tempo e ben congegnato nel percorso ascensionale dell’amore, ma meno incisivo e forse un po’ troppo sbrigativo quando la relazione fra i due amanti inizia a capitolare e, con la sua fine, viene il momento di tirare le fila narrative e concettuali di un film che in definitiva potrebbe dire ancor più di quello che dice. Potrebbe osare di più nelle derive concesse dagli sconquassi nervosi, potrebbe universalizzare ulteriormente la storia che racconta e inserirla nella Storia di un Paese che proprio come Ana ha vecchie radici da estirpare e negli ultimi anni è radicalmente cambiato, e forse anche sul versante della psicanalisi, fra gli attacchi di panico e i crolli nervosi di chi si sente tradito – magari non fisicamente, ma senza dubbio nel cuore – dopo aver consacrato la propria vita a una persona, potrebbe trovare una maggiore originalità.
Specialmente in un concorso, poi, che già ha visto alternarsi gli sguardi sensibili e straordinariamente emotivi di Ildikó Enyedi e Teresa Villaverde, ma anche Hong Sang-soo e Aki Kaurismaki, Ana, mon amour probabilmente potrebbe e dovrebbe aprire di più all’emozione dei suoi personaggi, del regista e del pubblico, concentrandosi magari meno sulle dinamiche di coppia e sul far quadrare i blocchi narrativi, e maggiormente sulla poetica e sulla tempesta dei sensi della coppia messa in scena. Tuttavia, attaccarsi ai piccoli limiti di un buon film e non vedere ciò che effettivamente mette sullo schermo, sarebbe sbagliato e ingeneroso. Non è un film perfetto, quello di Netzer, eppure è un film che, con tutti i suoi limiti di scrittura e di poetica, con tutte le sue catalogazioni a volte un po’ schematiche delle fasi del rapporto, va senza dubbio difeso, per ciò che dice e per la sincerità con cui lo dice. Perché le suggestioni su cui lavora sono quelle giuste, la messa in scena, la fotografia e i due attori protagonisti sono notevoli, e anche se il flusso narrativo all’inseguimento di quello della memoria che accede agli aneddoti e alle emozioni passate, alla lunga, può risultare uno schema un po’ ripetitivo, Netzer lascia che sia l’uomo a raccontarsi e a tentare di capirsi, lascia che la mente (problematica e in costante cura) si erga a vero e proprio campo di battaglia delle personalità, e soprattutto lascia che al centro ci siano le dinamiche dei rapporti pronte a emergere fra sorrisi giovanili, fughe, baci, orgasmi, gioie e poi silenzi, litigi, abbandoni: frammenti di cinema come fossero il puzzle di una vita. Che poi è quella di tutti noi.

Marco Romagna

201711626_1

“Ana, mon amour” (2017)
Drama | Romania
Regista Calin Peter Netzer
Sceneggiatori Calin Peter Netzer, Cezar Paul Badescu, Iulia Lumânare
Attori principali Mircea Postelnicu, Diana Cavallioti, Carmen Tanase, Vasile Muraru
IMDb Rating N/A

Articoli correlati

L'ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA (2017), di Aki Kaurismäki di Erik Negro
AURORA (2010), di Cristi Puiu di Marco Romagna
EL BAR (2017), di Álex de la Iglesia di Marco Romagna
ONE THOUSAND ROPES (2016), di Tusi Tamasese di Marco Romagna
STREETSCAPES (2017), di Heinz Emigholz di Erik Negro
SUL GLOBO D'ARGENTO (1987), di Andrzej Żuławski di Nicola Settis