22 Ottobre 2017 -

ALSO KNOWN AS JIHADI (2017)
di Eric Baudelaire

Nel 1968 il diciannovenne Norio Nagayama uccise, con una pistola rubata, quattro persone in quattro differenti città del Giappone. L’anno successivo il maestro del cinema Masao Adachi raccontò la sua vicenda in AKA serial killer, testo teorico che rifugge ogni tipo di cliché del documentario e della finzione per coniare la “teoria del paesaggio”. Per narrare i delitti e chi li aveva perpetrati, Adachi scelse di mostrare i paesaggi attraversati durante il corso della sua vita dall’omicida, lasciando fuori campo ogni tipo di azione, quasi eliminando la parola e concentrandosi invece sull’indefinitezza di ciò che scorre di fronte agli occhi di un uomo che ha perso la cognizione del bene e del male: i palazzi tutti uguali, l’industrializzazione selvaggia. Il paesaggio, nell’analisi marxista del sociale, sostituisce la situazione, concentrando nella matassa di strade delle periferie urbane in costante evoluzione e intasate dalla modernità tutta l’omologazione che la società, capitalista e consumista, impone all’uomo. Oggi, ispirandosi direttamente ad AKA serial killer con tanto di ringraziamenti nei titoli di coda, è il francese Eric Baudelaire a fare sua la “teoria del paesaggio” per portare sullo schermo la radicalizzazione di Abel Aziz Mekki, cittadino transalpino di origine algerina combattente in Siria e arrestato nell’aprile del 2014 ad Almeria, in Spagna, mentre tentava di imbarcarsi nuovamente per raggiungere le zone più calde delle Primavere Arabe dopo aver cercato in Europa nuovi proseliti. Also known as Jihadi, proiettato al DocLisboa 2017 in concorso internazionale pochi giorni dopo la vittoria al Festival dei Popoli di Firenze, sceglie due piani perfettamente separati, quello geografico/paesaggistico dei luoghi attraversati da Mekki – dal caos trafficato e industriale della metropoli francese fino al silenzio assoluto del deserto che circonda Aleppo, passando per la Turchia, l’Egitto, l’Algeria e le altre cittadine della Siria –, e quello delle carte processuali, “la verità”, fatte di deposizioni e intercettazioni telefoniche, fatte di perizie psichiatriche e di dichiarazioni di chi non accetta di essere chiamato “terrorista”, ma rivendica l’assoluta regolarità dell’esercito libero del quale fa parte. È un viaggio geografico e giudiziario, quello di Baudelaire, fatto di angoli di strade e di intercettazioni telefoniche, fatto di ciminiere e di deposizioni, fatto di bazar e di pseudonimi fra i quali un Cuordileone, fatto di letti vuoti e di accordi “Insh’Allah” fra il francese e l’arabo, ma soprattutto fatto di paesaggi in costante evoluzione e di decisioni sofferte, ma sentite come intime e necessarie.

Il film comincia nella Valle della Marna, distretto vicino a Parigi nel quale Abel Aziz Mekki è nato e cresciuto. Una zona urbana, fortemente industriale, caotica nel suo continuo traffico di auto targate 94. L’inquadratura sul paesaggio, rigorosamente a mano, rigorosamente indefinita, continuamente traballa, si aggiusta, cerca di assestarsi, si sposta verso l’alto e verso il basso alla costante ricerca di un (impossibile) punto di equilibrio, e sarà destinata a viaggiare, insieme al racconto della radicalizzazione di Mekki, in zone via via sempre più brulle, desertiche, nelle quali si intravvede un’auto sola, e poi nemmeno più quella. Sono squallide stanze d’albergo, sono piane che scorrono mentre l’automobile sfreccia, sono strade polverose, sono angoli di povertà, di silenzio, di natura, fino al ritorno in Europa, prima in Francia e poi in Spagna, dove il mandato di cattura internazionale farà scattare le manette per chi ammetterà ogni suo addestramento, ogni sua azione, ogni suo documento falso, ogni suo contatto per avere armi e luoghi dove nascondersi, ogni sua telefonata e ogni suo viaggio alla ricerca di altri “soldati”, ma rivendicherà fino alla fine la piena legittimità delle sue azioni e dei suoi combattimenti. Fino all’ultimo panorama, quello del Palazzo di Giustizia, quello del mosaico sul pavimento che compone la parola “lex”. Nel frattempo, la parola è relegata ai documenti scritti e bollati dalle autorità, intrecciati con lo scorrere dei territori. Dalle carte ufficiali, emerge il forte legame da sempre avuto dalla famiglia di Mekki con le zone geografiche d’origine con tanto di regolari viaggi in Algeria, ma anche la loro perfetta normalità e integrazione nel tessuto francese, tanto da essere sinceramente stupiti alla decisione del rampollo di partire senza dire nulla a nessuno, senza esprimere alcun tipo di intenzione bellicosa né ai genitori né alla sorella minore. Abel Aziz Mekki non è mai stato un “povero”, non è mai stato un disperato, ma anzi proviene da una famiglia tutto sommato agiata, pienamente occidentale, profondamente francese. E anche le perizie psichiatriche non faranno altro che confermare la sua piena libertà nella decisione di radicalizzarsi, presentandolo come una persona apparentemente normale, regolare, potenzialmente il nostro vicino di casa, o forse noi stessi. Ma con il mitra.

Nella progressiva immersione nel “giallo” giudiziario, capace di rendere Also known as Jihadi sinceramente avvincente pur senza dire una parola né mostrare un solo evento, ci sono le trascrizioni delle testimonianze di chi ha conosciuto “il radicale” Mekki, di chi ha viaggiato fino al confine fra Turchia e Siria per poterlo di nuovo incontrare, di chi è stato contattato per portare avanti la jihad. Le carte riportano le parole di chi lotta per quella che sente come propria terra e per quello che ritiene giusto, specificando come aver visto programmi televisivi con Bin Laden non voglia necessariamente dire condividerne le posizioni più folli, lasciando apertamente intendere come sia la società a creare mostri con il suo superficiale disinteresse, e ricordando come anche gli AK47 spesso siano solo un souvenir con il quale farsi fotografare, senza avere la minima idea, né tanto meno l’intenzione, di usarli. Abel Aziz Mekki troverà moglie, la armerà, lascerà crescere la barba “come il Profeta impone”, inviterà chi non è pienamente convinto di ciò che sta per fare a non iniziare una guerra per poi abbandonarla garantendosi la dannazione eterna di Allah, vivrà sotto falso nome con tanto di passaporto artigianale, e soprattutto continuerà a viaggiare fino all’arresto, fino all’estradizione, fino alla fine, certificata dai timbri delle autorità francesi che fanno capolino in fondo al Times New Roman delle carte. Ma Baudelaire, Abel Aziz Mekki, non lo mostrerà mai, lasciandolo nell’illusione di un volto sfocato e irriconoscibile che transita per una stazione, lasciandolo emergere dai paesaggi, dai murales, dallo squallore delle periferie, e soprattutto dalla parola scritta delle carte processuali. Il degrado urbano è lo stesso degrado della coscienza del protagonista/jihadista, uomo che non viene mai né attaccato né giustificato, trovando nella sua caratterizzazione quell’equilibrio impossibile che le inquadrature tremolanti non troveranno mai. Abbracciando la “teoria del paesaggio”, Eric Baudelaire ridiscute ancora una volta, come già Masao Adachi fece cinquant’anni fa, il senso stesso di documentario e di documentazione, trovando un testo teorico straordinario, equidistante, acuto, profondo, fatto di fuori campo e di silenzi, fatto di riferimenti e di proiezioni degli eventi sui luoghi che li hanno ospitati. È il paesaggio che forma l’uomo, che lo condiziona, che lo rappresenta, e che allo stesso modo rappresenta il suo sentore di inadeguatezza, di imposizione quasi subìta, che forse non può che portare alla decisione più radicale. Quella che fa abbracciare un AK47, quella che fa vivere nella macchia, quella che porta all’arresto, alla perizia psichiatrica, alla distruzione di due famiglie. Salvandone altre, probabilmente. Ma questo lo sapranno dire solo i posteri. Del resto, per quanto le testimonianze e le intercettazioni siano perfettamente coerenti, logiche e senza contraddizioni, per quanto Abel Aziz Makki sia ufficialmente “colpevole” e “reo confesso”, chi siamo noi per capire davvero una situazione del genere? E, ancor di più, chi siamo noi per giudicare?

Marco Romagna

“Also Known as Jihadi” (2017)
102 min | Documentary, Drama | France
Regista Eric Baudelaire
Sceneggiatori N/A
Attori principali N/A
IMDb Rating 6.8

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