7 Settembre 2015 -

A FLICKERING TRUTH (2015)
di Pietra Brettkelly

“I have never said this movie is good, this movie is bad; they discover by themselves. I have not helped, I have not taught. I have put food on the table, and they have taken the food and eaten.”
Henri Langlois

Quando Henri Langlois, con Georges Franju, nel 1936 fondò la Cinemateque Francaise, probabilmente era già convinto nel profondo che una cineteca fosse molto più di uno spazio conservativo del cinema, un luogo in cui archiviare pellicole. Quell’atto apparentemente legato solo alla storia dei film fu un momento straordinario di coscienza proprio alle porte del secondo conflitto mondiale. Una cineteca è anzitutto uno spazio resistente, un luogo di memoria fondamentale in cui è depositata non solo l’identità di una nazione, ma dell’umanità tutta che si è affacciata al novecento (il secolo dell’immagine, non a caso) ed in un battito di ciglia l’ha attraversato, fino alle soglie del terzo millennio. Mi pareva che questa fosse una premessa necessaria ed una piccolissima dedica personale a quel fantasma di Langlois che ancora adesso vagherà nei cinema parigini, alla ricerca dell’ultima pellicola in macchina.

A Flickering Truth sta proprio li, tra il primo e l’ultimo sguardo al cinema afgano, e come un’enorme ellissi taglia di netto l’ignoranza e la cattiveria di una dittatura militare che proprio quei fotogrammi voleva bruciati. Durante l’ennesima frattura di una storia in cui il medio-oriente è sempre più epicentro, rimangono tre sognatori e ottomila ore di film coperte dalla polvere di cent’anni di guerra. La cineteca con tutto il suo materiale ha rischiato di sparire per sempre, eppure è rimasta lì. Isaaq un vecchio saggio depositario (nonché abitante) della struttura cerca di catalogare quello che è rimasto, il curatore e regista Ibrahim Arify arriva in suo soccorso per cercare di ripristinare quella struttura. La macchina cinema pare rimettersi in moto, il loro sogno è quello di portare quei film nei villaggi e mostrarli a chi ancora non ha mai visto delle immagini in movimento su uno schermo. L’infanzia del cinema, ovvero la sua purezza preistorica.

Il documentario nel suo vagare all’interno di immagini a rischio di estinzione, intreccia varie storia, dalla prima pellicola afgana del 1927 fino all’incontro tra il re (poi deposto dal regime talebano) e Kennedy per poi soffermarsi sulla stessa fondazione dell’Afgan Film Institute proprio con contributi statunitensi. Qualcosa si è conservato, molto è andato disperso dalla violenza della guerra, dal tempo che corrode, dagli insetti che oramai mangiandosi i fotogrammi cancellano pian piano la storia così travagliata di un Paese. Il lavoro è spesso approssimativo, gli uffici e i depositi sono pieni di cianfrusaglie, come di relitti del conflitto ed i collaboratori esterni a questa impresa non paiono proprio aver la passione necessaria per compierla. Man mano il lavoro comunque va avanti e si riscoprono momenti ed opere oramai pensati persi per sempre. Le giornate scorrono su Kabul come la pellicola in macchina, oggi fanno meno rumore di una volta, e le prime elezioni “democratiche” paiono quasi essere la prima possibile luce in fondo al tunnel.

Però il vecchio ed ingobbito guardiano Isaaq muore, e lo stesso Arify è costretto a ripartire. Quando anche sulla cineteca pare nuovamente scendere il velo dell’oblio, sono gli stessi collaboratori, prima svogliati e pigri, a prendere in mano la situazione. Un camioncino antiquato, un proiettore 16mm, qualche rullo ed il viaggio comincia sulle montagne afgane, rispostare il cinema per ritrovarne il senso, un discorso che oramai pare sempre più essere distante dal locale per diventare assoluto. Partendo dal flicker (lo sfarfallamento di luce all’interno del proiettore, con cui Paul Sharits lavorò sulle percezioni) la neozelandese Pietra Brettkelly firma uno splendido atto d’amore, non tanto verso il cinema in se, ma verso coloro che quell’amore l’hanno già donato tutto per salvare anche un centimetro di pellicola, a rischio di perdere tutto anche la vita. Ma guardando i volti dei bambini che per la prima volta possono guardare, ammirare, osservare, vedere quelle immagini in movimento, pare proprio che ne sia valsa la pena. In fondo è una dedica a coloro che, partendo proprio da Langlois, conservano il cinema perché momento fondamentale della storia del novecento, depositario di un’identità che senza immagine oramai non potrebbe rivendicare nessuna esistenza. Ma a questi primi visitatori della macchina cinema, poca importa tutto ciò, è solo dolce magia, emozione, viaggio. Lo è anche per noi, perché quel sogno che sotto le bombe pareva solo essere una timidissima e vana speranza, metafora di un futuro di pace, oggi è realtà. L’amore che c’è in un fotogramma in fondo è tutta la memoria del mondo.

Erik Negro

“A Flickering Truth” (2015)
91 min | Documentary | New Zealand
Regista Pietra Brettkelly
Sceneggiatori Pietra Brettkelly
Attori principali Ibrehim Arif, Mahmoud Ghafouri, Isaaq Yousif
IMDb Rating 7.2

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